Non dimentichiamo che il prodotto che vendiamo, il più delle volte, non è esclusivo, altri lo offrono: è necessario, quindi, proporsi al pubblico in modo da distinguersi dalla massa e attrarre nuovi clienti.
La pubblicità serve proprio a questo: ci permette di posizionarci come esperti nel nostro settore.
"Ma la pubblicità serve davvero?"
"Perché bisogna fare pubblicità?"
"Quali benefici concreti offre la pubblicità?"
"Chi la paga?"
La pubblicità è, prima di tutto, comunicazione.
Una volta il pubblico poteva scegliere tra un numero limitato di modelli, ben distinti per ogni marchio. Chi voleva acquistare un determinato articolo sapeva bene dove rivolgersi.
Oggi, al contrario, sono le aziende produttrici che tentano di indovinare i desideri del mercato con un ventaglio di prodotti sempre più ampio e variegato, che si rinnova ogni stagione. Anche se l'offerta sembra essere infinita, ogni azienda propone più o meno gli stessi articoli e molti prodotti appartenenti alla medesima fascia di mercato spesso si assomigliano: diventa sempre più arduo differenziarsi.
In un articolo precedente abbiamo parlato della motivazione dei dipendenti, aspetto determinante per lavorare con successo e comunicare alla clientela una genuina passione per l’attività. In quest’articolo parleremo invece delle caratteristiche che deve possedere un buon capo per essere un leader e per avere successo nel settore della vendita diretta.
Ma qual è la differenza tra un capo e un leader? Capo e leader non sono sinonimi, al contrario, la distanza di significato tra questi due sostantivi è abissale, non solo, ma si amplia ulteriormente in base al momento storico, al Paese in cui ci troviamo, al contesto e all’azienda di riferimento.
Il punto di vista di clienti e venditori è opposto. La clientela è stuzzicata dagli articoli in offerta, mentre il venditore fa leva sulla scarsità di pezzi e sul limitato arco temporale per invogliare maggiormente all’acquisto. Ma, in un mercato inflazionato da sconti e promozioni, dove internet gioca un ruolo sempre più cruciale di price monitoring, ha ancora senso parlare di “occasioni”?
Quante volte ci siamo trovati di fronte al cartello “occasione”, esibito nelle più svariate situazioni di vendita, dai saloni di arredamento, di automobili oppure dalle vetrine dei supermercati?
Questi cartelli sono tanto abituali che non sappiamo più a cosa si riferiscano realmente.
Una quindicina d’anni fa nessuno parlava di mobbing. Questo fenomeno esisteva già (è sempre esistito) ma non era ancora stato riconosciuto né definito propriamente.
Possiamo dire che la parola mobbing è entrata di recente nel linguaggio comune. Parlare di mobbing oggi è addirittura di moda, è un fenomeno noto a tutti, non più sconosciuto o nascosto ma, al contrario, portato sotto i riflettori della legge e dei media.
In realtà questo fenomeno è arduo da descrivere. Non è facile dire cosa sia il mobbing e riconoscere le situazioni in cui si manifesta; è talmente complesso e vario che difficilmente si riesce a formulare una definizione universale.
Come nasce la motivazione di un dipendente? Oggi affrontare questo tema equivale ad addentrarsi in un ginepraio di norme e sentimenti comuni difficile da gestire senza inimicarsi qualcuno, pertanto ci limiteremo a condividere alcune riflessioni generali.
Partiamo da lontano con un riferimento sociologico, la famosa piramide di Maslow. Abraham Maslow fu un sociologo americano vissuto tra il 1908 e il 1970, conosciuto in particolare per la “piramide dei bisogni e delle motivazioni”, un modello che ideò nel 1954.
La possibilità di perdere il lavoro è una delle minacce peggiori per la serenità psicologica e personale di un lavoratore dipendente, possibilità spaventosa come l’idea di perdere la casa o il cibo.
Per capire appieno cosa rappresenti la perdita del lavoro ci riferiamo allo psicologo statunitense Abraham Maslow (1908-1970) che ideò la scala dei bisogni umani.
Secondo Maslow, l’obiettivo dell’uomo è la realizzazione di sé, raggiungibile passando attraverso vari livelli di soddisfazione del bisogno: ogni volta che l’uomo soddisfa un bisogno, progredisce a un livello superiore di soddisfazione, e così via.
Il coraggio per lasciare il lavoro dovete trovarlo da soli, nessuno vi aiuterà.
È pur vero che la permanenza in azienda vi ha sviliti, ha spento in voi l’entusiasmo, l’iniziativa, il coraggio, la sicurezza e la sanità mentale.
I vari meccanismi sociali fra dipendenti seguono uno schema malsano di guerra fredda di sopravvivenza, sopraffazione da parte dei più prepotenti, esasperazione dei ruoli, amicizie fittizie, affiliazioni fra gruppi, quasi fossero bande o branchi animali… ma nulla di tutto ciò ha a che fare con il reale valore aggiunto per l’azienda!
Eppure, uscire da questa situazione è semplicissimo, potete farlo anche adesso: basta andare all’ufficio del personale e consegnare un semplice foglio di carta firmato.
Due persone che s’incontrano per la prima volta comunicano, ancor prima di aver proferito parola, attraverso il linguaggio non verbale scambiando numerosi messaggi proprio durante i primi istanti di contatto.
Questo primo incontro è denso di contenuti che vanno ben oltre la percezione consapevole comune; l’interazione inconsapevole fra due soggetti sfugge anche al più attento osservatore razionale.
Nei primi istanti d’incontro fra due sconosciuti sono proprio le parole ad avere la minore importanza.
Durante le nostre visite alle attività commerciali in tutta Italia, la prima differenza che abbiamo notato è l’entrata del negozio.
L’aspetto iniziale più evidente è la “fisicità” dell’ingresso: la reception è differente in ogni esercizio. A volte il bancone è proprio davanti alla porta d’ingresso, altre volte è più lontano.
Perché è così difficile passare all'azione?
Le nostre azioni parlano di noi. Ciò che facciamo è comunicazione non verbale. Con le nostre scelte (oppure non scegliendo) diciamo agli altri qualcosa di noi stessi.
Agire è comunicazione. Viviamo in un mondo di parole dove mancano i fatti concreti. Tutti parlano e nessuno fa nulla. Allora, diventa naturale chiedersi:
“Perché è così difficile passare all’azione?”
Ci troviamo nel nostro negozio d’abbigliamento preferito ben decisi a comprare qualcosa. Mentre ci guardiamo intorno per apprezzare tutte le novità, si avvicina un tizio che, con fare scocciato, ci apostrofa con un:
“Ma insomma, dove posso trovare dei guanti invernali della mia misura?”
Rispondiamo mortificati che deve rivolgersi alla tal persona e gli indichiamo il venditore. Un pensiero ci colpisce come un lampo: cosa nel nostro aspetto ci fa sembrare un addetto del negozio?
Sensazioni e stati d’animo umani sono comuni a tutti in ogni angolo del mondo. Per esempio, ammirare un bel paesaggio in una giornata di sole dona a tutti una sensazione di pace e benessere indipendentemente dalla cultura d’appartenenza.
Ciò che vedono i nostri occhi influenza le nostre aspettative verso l’ambiente circostante. Infatti, quando entriamo per la prima volta in un luogo mai visto prima, quello che vediamo determina il nostro atteggiamento nei confronti del nuovo ambiente.
La stessa cosa vale per la vetrina di negozio.
Che cos’è lo sconto? Siamo sicuri di conoscerne davvero il significato? Cosa comunichiamo in modo non verbale quando concediamo lo sconto?
Lo sconto può essere considerato un’occasione d’acquisto per la clientela, una strategia per creare rapidamente liquidità oppure una debolezza del venditore.
Vendere ricorrendo unicamente alla leva dello sconto diminuisce il valore del prodotto (da qui in poi parleremo soprattutto di prodotti, ma le nostre considerazioni sono valide anche per i servizi).
Perché tanto spesso viene richiesto il ribasso del prezzo? Analizziamo insieme quattro tipologie di clienti e vediamo come gestirli in maniera efficace.
Tutti i professionisti della vendita dovrebbero conoscere e padroneggiare il concetto di sconto, usato spesso in negozio in svariate situazioni e merceologie di prodotto. Ma lo sappiamo davvero cosa comunica la richiesta di sconto e la sua eventuale concessione?